Maria Elena Guarini – La potestà genitoriale delle persone senza fissa dimora

L’intervento del tribunale per i minorenni: lo stato di abbandono dei minori e il decreto di adottabilità

Riferimenti generali

Fra i problemi primari che le persone senza fissa dimora patiscono nella loro dimensione esistenziale, primeggia sicuramente il problema del difficile esercizio della potestà genitoriale. Il disagio sociale, alla base di alcune scelte di allontanamento dalla ordinaria quotidianità (tossicodipendenza, disturbi mentali, disoccupazione, ecc…) ovvero la consapevole decisione di coltivare uno stile di vita a margine delle comuni famiglie regolari, espongono spesso i soggetti al controllo pubblico sulla loro genitorialità.
I servizi sociali dovrebbero intervenire a sostegno della famiglia ma, spesso, sono mal tollerati per le loro ingerenze: la necessaria tutela dei minori viene subita dai soggetti marginali come forma di controllo sociale, con una totale incomunicabilità ed il rifiuto ad ogni proficua collaborazione, nell’interesse prioritario dei soggetti più deboli. In tale situazione di cronica carenza di strutture incisive di mediazione socio-culturale, interviene a volte il Tribunale dei Minori per la verifica della sussistenza dello stato di abbandono dei minori, e la conseguente apertura del procedimento di adottabilità. Allo sportello di Avvocato di Strada, si rivolgono soggetti con convocazioni da parte degli assistenti sociali, ed in taluni casi, più gravi, del Giudice dei Minorenni. Le prime informazioni di carattere generale riguardano solitamente la funzione del Tribunale per i Minorenni, e il potere dei Servizi Sociali di cui si deve sempre rimuovere un persistente pregiudizio. Nei casi più gravi, quando si è già aperto un procedimento di adottabilità per l’ eventuale verifica sullo stato di abbandono del minore, è necessario un serio lavoro di indagine al fine, non solo di salvaguardare il rispetto delle garanzie processuali (intervento tecnico), ma anche per far comprendere agli adulti le ragioni del minore che deve godere del primario diritto a vivere dignitosamente, con un genitore in grado di curarlo, mantenerlo, istruirlo. Trattasi di valutare la sussistenza di una genitorialità responsabile e matura: questo percorso dovrà essere rappresentato al Giudice per i Minorenni affinché elaborare un progetto di salvaguardia del minore. In tale intervento, spesso determinanti risultano le famiglie d’origine che possono supportare i figli nell’educazione e nella crescita dei minori, assicurando ai bambini la possibilità di rimanere nel nucleo famigliare allargato, con potenzialità affettive di primario rilievo. Tali problemi sono emersi in tutta la loro rilevanza in due casi che abbiano affrontato e che di seguito si illustreranno a scopo esemplificativo. Si deve innanzitutto ricordare che il nostro ordinamento sancisce il diritto del minore a crescere ed essere educato nella famiglia di origine, tuttavia il legislatore spesso interviene con mere affermazioni manifesto, suggestive ed eloquenti, ma in pratica difficilmente realizzabili. Si deve altresì riflettere su tutte quelle disposizioni in cui lo Stato, e gli Enti Locali, si sono formalmente impegnati a sostenere economicamente i nuclei familiari a rischio nei limiti delle risorse finanziarie disponibili. Anche in questo caso, la cultura della solidarietà appare eccessivamente ancorata a ragioni di bilancio, nonostante questa rappresenti l’unico vero parametro valutativo della civiltà di un Paese.

La casistica

Giovanna si è rivolta al nostro sportello con un decreto di adottabilità del piccolo Amir di due anni. Giovanna era una ragazza di circa 30 anni, di origini sarde, con un trascorso di tossicodipendenza e una famiglia all’origine (residente in Sardegna) che la poteva aiutare a fronteggiare la situazione giudiziaria.
La storia di Giovanna è singolare ma emblematica. La ragazza, dopo un’adolescenza ribelle e dopo varie battaglie familiari, convinse i genitori a farla venire a Bologna per studiare presso il Dams, della Facoltà di Lettere e Filosofia. I genitori, prima contrari, accettarono tale trasferimento a fronte delle assicurazioni della figlia e della vicinanza a Bologna di uno zio paterno che poteva essere un valido aiuto per l’ inserimento della nipote in città. Dopo un primo momento di vita pressoché regolare, Giovanna cominciò a frequentare persone dedite all’ uso massiccio di stupefacenti, iniziò a cambiare varie case, e a svolgere precari lavoretti per integrare le entrate provenienti dalla famiglia. La vita per Giovanna cambiò radicalmente quando incontrò un ragazzo extracomunitario con il quale diede inizio ad una relazione sentimentale molto burrascosa ed intrapresa nel totale dissenso della famiglia. Nello stesso periodo Giovanna iniziò a fare uso di eroina, dissimulando totalmente la sua condizione ai genitori; l’uso, infatti, era regolare, ma mai devastante e la ragazza tornava a casa in Sardegna in buone condizioni psico-fisiche. Gli studi universitari proseguivano con molte difficoltà, ogni anno veniva superato qualche esame, e la famiglia veniva rassicurata. In questa condizione di isolamento affettivo e familiare, Giovanna rimase incinta e decise di tenere il bambino nonostante la immediata sparizione del suo compagno. Ancora una volta Giovanna decise di tacere con la famiglia rivolgendosi solo al Ser.T., per cercare aiuto medico e psicologico. Con parecchie settimane di anticipo nacque Amir; due giorni dopo i Carabinieri avvisarono i genitori di tale circostanza: la sorpresa fu enorme giacché in un solo colpo scoprirono che la figlia era tossicodipendente, e madre. Presi dagli impegni di lavoro e dalla totale impreparazione al viaggio, i genitori di Giovanna mandarono a Bologna il figlio maggiore al fine di organizzarsi a fronte dell’inaspettata notizia. Il Tribunale per i Minorenni di Bologna, accertate le condizioni inadeguate di Giovanna a prendersi cura del bambino, ne sospendeva la potestà genitoriale fin dalla nascita, affidando il bambino ad un istituto per la cura, dopo un primo periodo di ricovero di Amir nel reparto di neonatologia in quanto prematuro. Da quel momento per Giovanna iniziarono i problemi giudiziari, a cui si aggiungevano le concrete difficoltà nella cura del bambino. La madre di Amir appariva infatti inaffidabile, piena di buone intenzioni ma poco strutturata, molto influenzabile ed instabile. I nonni, dopo un primo momento di sbandamento, si offrirono senza resistenze a collaborare trovando poca disponibilità dai Servizi Sociali. La distanza dalla Sardegna a Bologna costituiva, infatti, un fortissimo ostacolo ad un’immediata comunicazione e, pertanto, dopo una serie di relazioni degli psicologi e degli assistenti sociali, il Tribunale per i Minorenni accertò con decreto lo stato di abbandono del minore, dichiarandolo adottabile. In tale situazione siamo intervenuti proponendo, nei 30 giorni previsti dalla legge, l’opposizione affinché il Giudice per i Minorenni (in diversa composizione) rivedesse l’accertamento in contraddittorio delle parti ed in processo dibattimentale. L’udienza durò circa 5 ore, fu lunga, estenuante e molto difficile; gli operatori confermarono le loro relazioni dai toni lapidari, e la nostra difesa si concentrò sulla disponibilità dei nonni a farsi carico dell’educazione e cura del nipote, in attesa che il recupero di Giovanna (che nel frattempo aveva trovato un nuovo compagno, un nuovo lavoro, una nuova sistemazione) fosse completato per svolgere responsabilmente le sue funzioni di genitore.

Il Tribunale per i Minorenni, dopo una lunga Camera di Consiglio, dispose che Amir fosse affidato ai nonni materni entro 30 giorni, accettando che se ne prendessero cura, con l’ausilio e la vigilanza dei Servizi Sociali di Orosei (Sassari) che dovevano altresì curare il graduale avvicinamento della madre naturale al bambino.
Ora tutti gli atti sono passati alla Curia del Tribunale per i Minorenni competente. Ora speriamo che Amir stia bene e che dopo un inizio di vita davvero difficile, sia un bambino sereno, con l’ amore della sua famiglia, e le protezioni adeguate per il suo sviluppo psico-fisico.

Francesca, nel gennaio del 2002, si è presentata allo sportello degli avvocati di strada con decreto del Tribunale per i Minorenni del 13.9.2001 che disponeva l’apertura del procedimento di adottabilità nei confronti della figlia India. Nel decreto si leggeva: “i genitori sono entrambi tossicodipendenti e la madre è nota al Tribunale in quanto le altre due figlie nate da un precedente matrimonio vivono presso i parenti paterni a causa dell’inadeguatezza genitoriale, ed ha alle spalle una lunga storia di tossicodipendenza mai risolta nonostante l’esperienza comunitaria che ha abbandonato per seguire il B. (con il quale ha messo al mondo India) ed una famiglia problematica in cui una sorella è deceduta giovane per una patologia collegata all’abuso di sostanze stupefacenti; la bambina alla luce di vari elementi emersi pare essere pesantemente trascurata se non addirittura maltrattata dai genitori; disponeva l’apertura del procedimento di verifica della sussistenza dello stato di abbandono con sospensione della potestà per entrambi i genitori, con la nomina di un tutore per la minore, che avrebbe dovuto collocare la bambina in un ambito protetto con la madre di Francesca ovvero, in caso contrario (in assenza del consenso), in una comunità di tipo familiare regolando i suoi rapporti con la madre affinché verificare la sussistenza di un’adeguata relazione madre-figlia”.

Nel decreto, il Tribunale per i Minorenni convocava le parti all’udienza del 29.11.2001 avanti al Giudice Relatore dott. Magagnoli. Francesca nel frattempo era stata male con ricoveri in ospedali per un’epatite C molto grave. Ovviamente, per tale motivo, Francesca non era potuta andare in Comunità come prescritto e non si era potuta presentare all’udienza, mostrando peraltro un disinteresse al processo che il Tribunale per i Minorenni aveva apprezzato molto negativamente. Nel febbraio 2002 abbiamo convinto Francesca a difendersi per riprendere i rapporti con la figlia e cercare di salvaguardare la sua posizione di madre. In tale contesto, inoltre, erano intervenuti gli zii paterni di India che chiedevano l’affidamento della minore accusando i genitori di maltrattamenti. Gli stessi avevano accolto la minore dal novembre del 2001 in occasione del ricovero ospedaliero di Francesca. Il 16.4.2002, il Giudice per i Minorenni fissò la nuova udienza di audizione della madre che, nel frattempo, aveva iniziato un percorso personale di recupero con l’ausilio delle strutture del Ser.T. In tale percorso gli operatori sono riusciti a ricucire i rapporti fra la madre e gli zii paterni di India, affidatari temporanei della bambina, così preservando la minore da allontanamenti dalla famiglia d’ origine disposti d’autorità dal Tribunale per i Minorenni. Francesca ha accettato che la minore rimanesse presso gli zii paterni (che si sono mostrati attenti e tutelanti per la crescita della bambina) continuando il percorso riabilitativo e di ripresa costante dei rapporti con la figlia.
Il Tribunale, a seguito del nostro intervento, con decreto del 16.9.2002, ha infine dichiarato non doversi provvedere quanto all’adottabilità della minore disponendo che India rimanesse collocata presso il nucleo della zia paterna, svolgendo in suo favore con l’ausilio dell’ A.U.S.L. di Bologna Nord un’opera di vigilanza e sostegno e valutando l’opportunità della ripresa dei rapporti con la sola madre, restando sospesi quelli con il padre. Anche in questo secondo caso è stato evitato l’allontanamento della minore dal nucleo familiare, sventando lo stato di adottabilità con relativa rottura definitiva dei rapporti con i genitori naturali.

All’esito dei casi sommariamente esposti, una riflessione appare determinante, affinché si possano comprendere le caratteristiche del nostro intervento legale. Presupposto per la dichiarazione di adottabilità del minore è che egli versi in uno stato di abbandono. La nozione di abbandono, necessariamente correlata a quella di interesse del minore, costituisce per giudizio unanime della dottrina e della giurisprudenza, il fulcro dell’intera disciplina e rappresenta l’aspetto più rilevante (ed anche sicuramente il più discusso) di tutta la problematica dell’intervento istituzionale del Tribunale per i Minorenni.

Abbandono nel linguaggio corrente è “atto di lasciare, gettare, trascurare” ma il legislatore non ne ha fatto suoi i contenuti. Egli, infatti, ha preferito non definire, in maniera precisa e circostanziata, in che cosa consista la situazione di abbandono, ma ha utilizzato una clausola generale, con il preciso intento di consentire al Giudice ed all’interprete l’esame dei singoli casi sottoposti alle loro diverse realtà, condotto sulla base di parametri che tengano conto non solo delle condizioni personali, ma anche sociali ed ambientali del contesto di appartenenza. Il ricorso ad una formula “flessibile”, infatti, garantisce una lettura della norma conforme al rapido evolversi dei costumi e della società. In tale contesto è evidente come l’avvocato delle parti sia fondamentale per valorizzare le condizioni dei singoli affinché il prudente apprezzamento del Giudice sul singolo caso tenga conto delle specificità delle esperienze umane.

I criteri attraverso i quali il Giudice deve operare si rinvengono nel sistema costituzionale (e nei trattati internazionali di riferimento), che si riferisce principalmente al diritto inviolabile ad uno sviluppo armonico ed equilibrato della personalità, finalizzato al raggiungimento di una “formazione integrale” quale contenuto del rapporto educativo. Il preciso dovere di educare e di mantenere la prole si traduce così, per i genitori, nella creazione di un ambiente familiare che consenta ai figli di poter sfruttare, nella misura più ampia ed armoniosa possibile, le proprie facoltà, attitudini ed inclinazioni, onde affrontare nella migliore condizione possibile le esigenze future di persone adulte inserite nella società.

L’accertamento della situazione di abbandono va fatto con apprezzamento casistico diretto ad accertare le conseguenze che “i comportamenti” (anche deviati) hanno sulla personalità dei figli: considerando non la figura del minore in senso astratto, né quella di tutti i minori di quell’età o di quel determinato ambiente sociale, ma la figura di quel minore particolare, con la sua storia, il suo vissuto, le sue caratteristiche fisiche e psicologiche, la sua età, il suo grado di sviluppo. Il modello di attenzione dei genitori verso i figli può essere diverso a seconda delle culture sia di quel particolare nucleo familiare, sia del ceto cui il nucleo appartiene: il Giudice deve tenere conto dei diversi modelli e non può imporre quello, magari anche generalizzato, che è specifico di classi sociali integrate e più progredite.

Diversamente si rischia di procedere in modo sommario, oltreché profondamente ingiusto. In tale contesto si devono sollecitare adeguati interventi di prevenzione, rivolti a nuclei familiari a rischio, tesi ad evitare l’abbandono ed a consentire al minore di continuare a vivere nell’ambito della propria famiglia: le associazioni presenti sul territorio, con le loro specifiche competenze, possono evitare che le lentezze burocratiche e la carenza di attenzione delle strutture sociali, unitamente alla carenza di fondi necessari, finiscano per attribuire alle norme in materia solo un valore di mere petizioni di principio.
Gli Avvocati di strada, nel ruolo assistenziale di loro competenza, con il valore aggiunto derivante da una motivata disponibilità “all’ascolto”, possono agevolare una fruttuosa mediazione nei confronti delle istituzioni affinché, nel rispetto delle garanzie dei cittadini adulti e minori, si realizzi un avvicinamento alle strutture di sostegno sociale superando la prevenzione e l’ avversione che spesso viene manifestata dal timore di interventi intrusivi e penalizzanti della marginalità economica e sociale.

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