Silvia Savigni – La tutela del “diritto al lavoro”

 

Le richieste degli utenti

Nei primi tre anni di attività lo sportello Avvocato di Strada ha affrontato numerose questioni riguardanti il diritto al lavoro. Come emerge anche dalla disciplina costituzionale, il lavoro, oltre a consentire ad ogni persona di assicurarsi l’indipendenza economica, costituisce lo strumento fondamentale tramite il quale avviare il proprio percorso di inserimento e di integrazione nella società . Assistendo le persone senza fissa dimora, ho potuto verificare l’importanza di entrambi questi profili. In particolare, le questioni attinenti il diritto del lavoro affrontate da Avvocato di Strada, possono essere suddivise in due categorie principali: da un lato, quelle inerenti problematiche connesse alla mancanza di lavoro e, dunque, alle difficoltà nella fase di ricerca e di inserimento lavorativo: dall’altro, controversie insorte una volta avviato il rapporto di lavoro stesso.
Nell’ambito della prima categoria, rientrano i casi delle persone che hanno richiesto assistenza legale affermando di “non poter lavorare in quanto prive di residenza”. Chi non risulta residente e, dunque, non iscritto nei registri anagrafici di un Comune, non può richiedere il libretto di lavoro, non può essere iscritto nelle liste di collocamento e non può essere titolare di partita iva. In sintesi, non può svolgere regolarmente né un’attività che comporti un rapporto di lavoro subordinato, né un lavoro autonomo. A titolo esemplificativo, questo è quanto accaduto al sig. D.A. il quale, pur essendo in possesso del titolo professionale e della formazione necessaria, non ha potuto, per ben due anni, svolgere alcuna attività lavorativa poiché privo di residenza. Solo a seguito dell’iscrizione nei registri anagrafici del Comune di Bologna, il sig. D.A. ha potuto ottenere l’attribuzione della partita iva ed adempiere a tutte le formalità fiscali e burocratiche necessarie per l’avvio di una attività di lavoro autonomo.

In un secondo caso, la signora Z. L. si è rivolta allo sportello di Avvocato di Strada affermando che il Comune, non avendole rilasciato il libretto di lavoro, le aveva procurato la perdita di una opportunità di lavoro interinale. La signora era priva di residenza, poiché era stata costretta ad abbandonare il suo domicilio a seguito di un periodo trascorso in carcere. L’assenza della signora Z. L. era stata accertata dal Comune che, dopo alcuni mesi, aveva provveduto alla cancellazione dai registri anagrafici. Numerose sono le questioni attinenti lo svolgimento e l’interruzione di rapporti di lavoro e molte persone si sono rivolte al nostro sportello chiedendo di verificare se il loro licenziamento fosse avvenuto in conformità a quanto prescritto dalla legge. In un caso che abbiamo affrontato una persona era stata assunta da una cooperativa sociale e, successivamente, licenziata dal datore di lavoro durante il periodo di prova senza alcuna motivazione. Un secondo esempio è quello di un utente in cerca di occupazione che si era rivolto ad un’agenzia di lavoro interinale e che, dopo avere svolto periodi di lavoro a tempo determinato presso due differenti imprese, una volta dislocato dall’agenzia di lavoro presso una terza, veniva licenziato senza alcuna giusta causa o giustificato motivo.

A volte, in casi come questi, abbiamo potuto verificare immediatamente la legalità o meno del licenziamento; in altre situazioni, come, ad esempio, quella del lavoratore interinale, è stato consigliato all’utente di rivolgersi prima al sindacato specifico per effettuare tutti gli accertamenti preliminari. In un’altra vicenda il lavoratore tutelato da Avvocato di Strada, dopo aver lavorato a tempo determinato per una azienda portando a termine regolarmente il rapporto di lavoro, non aveva ricevuto le somme corrispondenti alle due ultime buste paga. A fronte di tale inadempimento del datore di lavoro è stato necessario l’intervento legale di un avvocato che ha predisposto una lettera di diffida ad adempiere indirizzata al datore di lavoro, azione che ha permesso di risolvere bonariamente la questione. Infine, alcune questioni hanno riguardato anche il tema degli infortuni e delle malattie professionali. Un esempio particolare è quello di un utente che aveva ottenuto una borsa lavoro nell’ambito di un progetto di reinserimento lavorativo. L’attività svolta da questa persona nel periodo di borsa lavoro si era rivelata non idonea alle condizioni di salute dell’interessato che, a seguito del lavoro svolto, aveva avuto un notevole peggioramento delle proprie condizioni fisiche. Dal punto di vista giuridico è stato necessario, innanzitutto, effettuare alcune verifiche sull’esistenza del nesso di causalità tra l’attività lavorativa e il danno riportato. Inoltre, nel caso di specie, poiché la borsa lavoro non fa sorgere un rapporto di lavoro subordinato, si è reso necessario verificare, altresì, le coperture assicurative e l’imputazione della responsabilità.

Il diritto al lavoro nella Costituzione

Per “lavoro” si intende ogni tipo di attività di impiego di energie fisiche e intellettuali dell’uomo per la produzione o lo scambio di beni e/o di servizi. Sotto un profilo economico, pertanto, il lavoro si identifica con qualsiasi attività psicofisica che comporti impiego di energie e che sia idonea a soddisfare un bisogno individuale o collettivo. Da un punto di vista giuridico, inoltre, il lavoro rappresenta il rapporto giuridico tra due soggetti: il lavoratore che presta la propria attività e il datore di lavoro che usufruisce di tale prestazione per la soddisfazione di propri interessi. Ciò vale per tutte le forme di lavoro, poiché a prescindere dalle diverse configurazioni che il rapporto assume, si è sempre in presenza di un rapporto giuridico qualificato e tutelato come rapporto di lavoro. Al lavoro è dedicato uno spazio rilevante nella nostra Costituzione: l’art. 1, comma 1, Cost. afferma infatti che “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro” e, nella parte dedicata ai Principi Fondamentali, l’art. 4 sancisce che “La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto”. L’effettività del diritto al lavoro si esplica in una articolata serie di leggi che disciplinano l’accesso al lavoro, lo svolgimento del rapporto di lavoro, i diritti e gli obblighi connessi, la sua cessazione. In particolare, lo Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro di attuare trattamenti discriminatori tra i lavoratori, tutela la libertà di opinione e di associazione in sindacati, vieta di adibire il lavoratore a mansioni inferiori a quelle per le quali sia stato assunto, e, inoltre, pone una serie di garanzie per evitare licenziamenti illegittimi, fino alla reintegrazione nel posto di lavoro del dipendente ingiustificatamente licenziato. L’art. 4, comma 2, Cost. sancisce, altresì, che “Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società”. Il riconoscimento del lavoro oltre che come diritto del singolo, anche come dovere, sottolinea la dimensione sociale dell’attività lavorativa e la sua connotazione, non solo privatistica, ma anche pubblicistica. La previsione di un simile dovere è attuazione del principio di solidarietà che impone a coloro che ne abbiano le possibilità o i mezzi di adoperarsi per dare il loro contributo alla collettività. Questa norma, quindi, sottolinea l’importanza attribuita al lavoro nell’ambito dello Stato Sociale. Il lavoro non è solo mezzo di sussistenza, ma anche strumento necessario per affermare le proprie capacità e, quindi, la propria personalità.

La previsione dell’art 4 Cost. deve essere anche collegata al principio di uguaglianza sostanziale disposto dall’art. 3, comma 2, Cost. che assegna alla Repubblica il compito di eliminare gli ostacoli alla libertà e all’uguaglianza, che impediscono l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Le altre norme costituzionali che disciplinano il lavoro sono contenute nel Titolo III “Rapporti economici” della Costituzione. Gli artt. 35-40 Cost. disciplinano le condizioni di lavoro al fine di garantire l’integrità fisica dei lavoratori ed il rispetto della loro dignità. Tali norme costituzionali si riferiscono al lavoratore subordinato e dettano i principi che devono essere recepiti dalle leggi ordinarie che disciplinano il rapporto di lavoro in tutte le fasi, dalla costituzione alla cessazione. Per questo motivo tutti i diritti riconosciuti dalla Costituzione al lavoratore sono irrinunciabili e indisponibili.
L’art. 35 Cost., in esecuzione del principio di uguaglianza, riguarda la tutela del lavoro, in tutte le sue forme ed applicazioni, la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Inoltre, il secondo comma del medesimo articolo, riconosce e tutela anche la dimensione internazionale del diritto al lavoro laddove afferma che la Repubblica promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali che regolano il diritto al lavoro, riconosce la libertà di emigrazione e tutela il lavoro italiano all’estero.
Altre importanti disposizioni sono contenute nell’art. 36 Cost. secondo il quale la retribuzione deve essere proporzionata alla qualità e quantità di lavoro prestato e, in ogni caso, sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La proporzionalità e la sufficienza sono i due requisiti della retribuzione che devono essere inderogabilmente rispettati sia dalla legge sia dai contratti, individuali e collettivi.
Nel nostro ordinamento, nonostante la previsione programmatica dell’art. 36 Cost., è sempre mancato un intervento del legislatore in materia e, pertanto, in assenza di una legislazione che fissasse i minimi salariali la giurisprudenza ha provveduto a colmare il vuoto. In particolare, i giudici, in caso di mancanza di pattuizione della retribuzione o, a fronte di una pattuizione della retribuzione in misura insufficiente, hanno ritenuto che debba essere corrisposto dal datore di lavoro una somma equivalente alla retribuzione minima prevista dal contratto collettivo della categoria. L’art. 37 Cost. garantisce alla donna lavoratrice e al minore gli stessi diritti e, a parità di lavoro, la stessa retribuzione che spetta al lavoratore. Il successivo art. 38 Cost. sancisce il diritto del lavoratore ad adeguate forme di previdenza ed assistenza sociale. Questa norma costituzionale tutela l’individuo in quanto tale, a prescindere dalla sua attitudine a produrre ricchezza. All’assistenza e previdenza sociale provvedono organi o istituti pubblici tra i quali in particolare l’INPS, che gestisce la tutela previdenziale dei lavoratori e l’INAIL, competente in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro.

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *