Antonio Mumolo e Paola Pizzi – Il diritto alla residenza: la prima causa degli Avvocati di Strada

 

Uno dei problemi più sentiti dalle persone senza fissa dimora è, senza dubbio, quello della mancanza della residenza. Non essere iscritti in un registro anagrafico della popolazione, infatti, significa non poter godere di quei diritti fondamentali riconosciuti dalla nostra Costituzione. Del resto è noto che la materia anagrafica è improntata non solo ad esigenze di diritto pubblico collegate al servizio elettorale, alla riscossione dei tributi, alle notificazioni, ecc…, ma attiene anche alla tutela di posizioni giuridiche private.
La mancanza della residenza, pertanto, costituisce una grave limitazione di quei diritti che la nostra Costituzione qualifica come diritti fondamentali, assoluti, incoercibili ed inviolabili dell’individuo. La rilevanza giuridica della iscrizione nei registri anagrafici della popolazione residente, dunque, viene percepita proprio da quanti, come i senza fissa dimora, subiscono sulla propria pelle la negazione dei diritti che tale loro condizione li porta a vivere quotidianamente. Chi non risulta iscritto in nessuna delle liste anagrafiche della popolazione residente di un Comune, non è iscritto nelle liste elettorali: di conseguenza è nella impossibilità di esercitare il diritto di voto. La compressione di tale diritto manifesta la sua rilevante lesività se si considera che il diritto al voto, secondo quanto previsto dalla Costituzione (art. 48), “non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge”. Fuori dalle ipotesi espressamente previste dalla Carta Fondamentale, non è ammissibile alcuna forma di impedimento e/o limitazione all’esercizio di un diritto tanto importante quale quello di poter concorre al governo del proprio Stato.

Vi è poi da evidenziare che la legge elettorale prevede che ogni cittadino possa sottoscrivere la dichiarazione di presentazione di coloro che concorrono alla elezione nel proprio collegio elettorale. I candidati, infatti, per poter competere, devono raccogliere un determinato numero di sottoscrizioni di elettori del proprio collegio. È evidente, quindi la gravità della condizione di chi, essendo senza fissa dimora, non può esercitare un diritto che – per definizione costituzionale – è assoluto, inviolabile, incoercibile. Non essere iscritto nel registro della popolazione residente in un determinato Comune significa non poter godere appieno della assistenza sanitaria nazionale. Infatti, il cittadino che si trova privo della residenza, ha maggiore difficoltà ad usufruire delle strutture sanitarie pubbliche presenti nel territorio nazionale e può accedere ad esse solo tramite il servizio di pronto soccorso.

Basti pensare che il cittadino privo di residenza non può usufruire di un proprio medico curante, con tutte le conseguenze che ciò comporta. Eppure anche il diritto alla salute è ampiamente riconosciuto e tutelato dalla Costituzione e già la sola difficoltà ad accedere al servizio pubblico sanitario sarebbe di per sé sufficiente a considerare minato tale diritto fondamentale. La potenziale lesività di tale situazione è tanto evidente, nella sua gravità, da non necessitare di ulteriori commenti. La mancanza della residenza comporta, di fatto, una maggiore difficoltà nel reperimento di un lavoro stabile che permetta una esistenza libera e dignitosa. Lo status-condizione di anagraficamente irreperibile rende irrealizzabile qualsiasi ipotesi lavorativa: non si può, infatti, regolarizzare la posizione burocratico-amministrativa nei confronti di qualsivoglia Albo Professionale, la posizione fiscale, il rapporto con eventuali datori di lavoro, collaboratori e clienti.
Tutto ciò si traduce, dunque, nell’impossibilità oggettiva di esercitare effettivamente il diritto al lavoro, reperendo una occupazione di natura subordinata o autonoma. Neppure l’esercizio autonomo di una professione è garantito: senza la residenza, infatti, non si può essere titolare di partita I.V.A. (richiesta dalla legislazione fiscale), perché tra la documentazione necessaria per l’apertura della posizione I.V.A. vi è il certificato di residenza. Alla luce di tali brevi cenni, ben si comprende che non a caso, il primo utente dello sportello dell’Avvocato di Strada è stato un cittadino senza fissa dimora, che ha chiesto di poter ottenere la residenza nel Comune di Bologna. La vicenda, sfociata poi in un ricorso d’urgenza dinanzi al Tribunale di Bologna, ha avuto il suo inizio nel 1999, quando il sig. Mario (nome di fantasia), aveva formulato da tempo la richiesta di ottenere la residenza. Lo stesso, precedentemente iscritto presso il registro anagrafico del Comune di Pomigliano D’Arco (NA), risultava da tempo anagraficamente irreperibile; pertanto, sin dal 1997, egli provvedeva a richiedere la residenza presso il Comune di Bologna. A seguito di tale richiesta, gli veniva riferito che era stato inserito in una “lista di attesa” insieme ad altre persone che, come lui, avevano formulato medesima istanza. Nell’ottobre del 2000 il sig. Mario, non avendo ancora ricevuto comunicazioni in relazione alla sua richiesta di residenza, chiedeva al Comune di Bologna notizie in merito alla lista d’attesa per la concessione della residenza, al fine di ottenere informazioni rispetto alla propria posizione in graduatoria. Un mese dopo, il Direttore del Settore Coordinamento Servizio Sociale Adulti del Comune di Bologna, comunicava al sig. Mario l’impossibilità di “prendere visione della lista d’attesa per l’iscrizione nella convivenza anagrafica in via Sabatucci n. 2 per rispetto della privacy delle altre persone iscritte”. Precisava, altresì, che il suo nominativo era “stato reinserito nella suddetta lista il 16/10/2000, quando è pervenuta al Servizio Sociale Adulti la dichiarazione di irreperibilità presso il Comune di Pomigliano D’Arco (NA)”. Il sig. Mario riscontrava la lettera del Direttore del Settore Coordinamento, Servizio Sociale Adulti del Comune di Bologna, evidenziando che non gli era stato fornito alcun utile parametro di valutazione in merito alla sua posizione nella suddetta lista. Faceva altresì presente di aver chiesto alla responsabile della struttura presso cui era domiciliato, di conoscere – almeno – il proprio numero di posizione in tale lista; ciò non avrebbe leso in alcun modo il diritto alla privacy delle altre persone iscritte nella lista. Chiedeva, inoltre, di essere periodicamente informato sull’andamento della sua posizione nella lista di attesa. La richiesta rimaneva senza alcun riscontro. Nel gennaio del 2001, il sig. Mario si rivolgeva agli operatori dello sportello dell’Avvocato di Strada, chiedendo un aiuto per risolvere la sua situazione. Su suggerimento dei legali che prestano la propria attività in tale struttura, il sig. Mario inviava una lettera al Sindaco del Comune di Bologna, chiedendo formalmente di ottenere la residenza in via Sabatucci n. 2, luogo in cui egli era domiciliato sin dal marzo 1999 e dove aveva la sua dimora; lo stesso chiedeva inoltre, ai sensi della Legge 241/90, di conoscere i criteri in uso a Bologna per ottenere la residenza e quelli utilizzati per predisporre le “liste d’attesa”, di conoscere il nome del funzionario incaricato ad occuparsi della suddetta richiesta e di ricevere risposta presso il domicilio eletto presso l’Associazione Amici di Piazza Grande, via A. Di Vincenzo 26/f, Bologna. In riscontro a tale richiesta, la Responsabile dell’Ufficio Atti Migratori dell’Anagrafe di Bologna, precisava che, in caso di convivenza, la domanda per ottenere la residenza deve pervenire dal Responsabile della convivenza e, inoltre, sottolineava che i criteri seguiti dal Comune di Bologna in tale materia sono i medesimi attuati dagli altri Comuni, in quanto ogni Ufficio Anagrafico agisce in base alla stessa normativa nazionale (sic). Comunicava inoltre che, secondo il Comune, il procedimento per ottenere la residenza, non era ancora iniziato e che, “all’atto dell’avvio del procedimento”, gli sarebbe stata consegnata “una ricevuta nella quale saranno indicati i dati del responsabile del procedimento e dell’Ufficiale d’Anagrafe addetto all’avvio del procedimento”. In sostanza, il sig. Mario, dopo aver richiesto la residenza sia tramite il Responsabile della convivenza di via Sabatucci 2, sia personalmente con richiesta indirizzata al Sindaco di Bologna, apprendeva che il relativo procedimento non era nemmeno iniziato! Nel marzo del 2001 il sig. Mario inviava una lettera raccomandata al Comune di Bologna in persona del Sindaco pro-tempore, al Servizio sociale adulti ed anche ai servizi demografici del Comune. In tale lettera specificava di aver già formulato domanda di residenza, di aver fatto richiesta di conoscere i criteri in uso a Bologna per ottenerla e di aver fatto istanza per conoscere i criteri utilizzati per predisporre le “liste d’attesa”. Poiché la risposta del Comune non appariva esaustiva in merito alle domande formulate, il sig. Mario richiedeva i seguenti chiarimenti che testualmente si riportano:

– “se per i senza fissa dimora è possibile ottenere la residenza essendo ospiti in una struttura pubblica come il centro G. Beltrame;
– se per i senza fissa dimora è possibile ottenere la residenza presso un’associazione;
– se esiste un numero prefissato di residenze assegnate dal comune di Bologna alle singole strutture come il centro G. Beltrame;
– se tale numero esiste, come è possibile ottenere la residenza a Bologna per coloro che sono effettivamente ospitati presso il centro G. Beltrame, quando tale numero sia stato raggiunto;
– se i richiedenti sono inseriti in liste di attesa;
– quali sono i criteri di inserimento in tali liste;
– se sono previsti criteri diversi in base ai motivi addotti per la richiesta, con particolare riferimento ad eventuali motivi di urgenza”.

In riscontro a tale ultima raccomandata, la Responsabile dell’Ufficio Atti Migratori precisava che per ottenere la residenza anagrafica è determinante unicamente la dimora abituale, indipendentemente dalla natura dell’alloggio. Tuttavia, anche il contenuto di tale lettera non chiariva definitivamente la questione, in quanto le affermazioni ivi contenute sembravano in contraddizione. Infatti, da un lato si precisava che, in caso di convivenza, la richiesta della residenza era “di competenza del responsabile della struttura”; dall’altro che la persona interessata (sig. Mario) poteva “sempre presentarsi direttamente presso un qualsiasi ufficio anagrafico di quartiere e fare istanza di iscrizione anagrafica all’indirizzo della convivenza”. Infine, si affermava che l’Ufficio Anagrafe non pone limiti alle richieste di residenza anche se “è altresì evidente che ogni struttura ha una sua capienza e quindi una sua disponibilità che può essere limitata solo ad un determinato numero di persone”. Il sig. Mario aveva la qualifica professionale di Pranoterapeuta, ma non poteva esercitare la sua professione né come lavoratore subordinato né come lavoratore autonomo, in quanto la mancanza di residenza non gli consentiva di ottenere le necessarie certificazioni e gli impediva di essere titolare della partita I.V.A. La mancanza di residenza rendeva altresì impossibile al sig. Mario l’iscrizione alle liste elettorali, con la conseguente impossibilità sia di votare, sia di sottoscrivere la dichiarazione di presentazione del candidato del suo collegio, che di sottoscrivere petizioni ai sensi dell’ art. 50 della Costituzione. La mancanza di residenza gli rendeva oggettivamente difficile l’esercizio del diritto alla salute e ciò era ancor più grave, nel caso di specie, in quanto il sig. Mario era invalido al 40%. La mancanza di residenza, inoltre, gli precludeva ogni possibilità di ottenere un alloggio presso l’istituto autonomo case popolari. La condizione del sig. Mario, dunque, costituiva un esempio eclatante di come la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, affermati e riconosciuti a livello costituzionale all’uomo in quanto tale, a prescindere dalla sua condizione, venisse di fatto negata a persone che vivono in condizioni di estrema precarietà solo perché privi della residenza. A questo punto il sig. Mario adiva il Tribunale di Bologna in via d’urgenza, anche in considerazione del rischio, attuale ed evidente, di grave compressione dei suoi diritti politici: egli infatti, in mancanza di immediata concessione della residenza, non avrebbe potuto sottoscrivere le liste dei candidati delle all’epoca imminenti consultazioni elettorali e non avrebbe potuto esercitare il proprio diritto di voto nelle – all’epoca imminenti – elezioni politiche. A seguito della notifica del ricorso d’urgenza avvenuta in data 13.04.2001, il Comune di Bologna provvedeva ad iscrivere il sig. Mario nelle liste anagrafiche della popolazione residente. Dopo soli sette giorni dalla notifica del ricorso, dunque, il Comune gli riconosceva il diritto ad ottenere la residenza presso il dormitorio di Bologna. All’udienza di discussione dinanzi al Tribunale Civile, il Comune di Bologna, tuttavia, chiedeva non solo che venisse rigettata la richiesta del sig. Mario, ma che lo stesso venisse condannato al pagamento delle spese processuali.

Dopo ampia discussione ed il deposito di memorie, il Giudice del Tribunale di Bologna, riconoscendo fondate le richieste del ricorrente sig. Mario, accertava il suo diritto ad ottenere la residenza e condannava il Comune di Bologna al pagamento delle spese processuali. Questa pronuncia rappresenta il primo riferimento giurisprudenziale in materia. Come diretta conseguenza di questa decisione, che ha offerto una più corretta e interpretazione delle norme che regolano la iscrizione dei cittadini nei registri anagrafici della popolazione residente, tutte le persone senza fissa dimora, possono richiedere ed ottenere la residenza nei dormitori pubblici, nelle sedi delle associazioni ed in ogni altro luogo ove effettivamente dimorino.
Infatti, dopo la citata ordinanza, il Comune di Bologna ha dovuto concedere la residenza a tutti coloro che dormono nei dormitori pubblici o in stazione a Bologna. Oggi Bologna ha numerosi cittadini in più, molti dei quali hanno già trovato un lavoro e stanno intraprendendo il faticoso percorso che li porterà fuori da una situazione di precarietà.

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *