Conversazione con Anna Garbesi

L’eredità di Galileo: Metodo scientifico e democrazia

Sono chimica, lavoro al CNR, mi occupo attualmente di acidi nucleici, di DNA, che ora vanno molto di moda. [Il titolo che mi è stato proposto per questo intervento è “L’eredità di Galileo”]: allora mi sono chiesta che diavolo di eredità lasciasse oggi Galileo. Galileo resta una figura e una persona conosciuta anche da chi non ha compiuto studi non dico scientifici, ma nemmeno particolarmente avanzati. Per esempio conosco una persona che fa l’autista che sa di Galileo, sa che la Chiesa cattolica lo ha condannato. Ecco, questo anticlericalismo, così radicato nella terra da cui provengo, la Romagna, e che in parte io condivido, è una delle eredità di Galileo: non nel senso banale di anticlericalismo, ma in fondo per il sentimento di far valere una verità assoluta contro evidenze che possono essere pur ampiamente condivise: è il segno dell’oppressione, per me questa è un’eredità di Galileo.
Detto questo, vorrei fare alcune considerazioni sul problema della scienza, del metodo scientifico, se la scienza sia un racconto del mondo o la misura del mondo. Io sono una sperimentalista, e cioè mi occupo di cose che nell’esperienza quotidiana non sono parole né numeri, ma hanno una propria concretezza: nel mio caso sono polverine, liquidi. Li “mescolo” e poi vedo di capire, con vari metodi, cosa è successo. L’aspetto che più mi è piaciuto di questo, quello che mi ha fatta restare a fare questo mestiere che ho avuto la fortuna di fare dall’inizio per caso, è il fatto che per me la ricerca scientifica, non la verità scientifica ma la ricerca, è un racconto sempre modificabile, una narrazione di qualcosa, basato su evidenze e dati osservabili da varie persone, dati controllabili diciamo così: questo a mio parere rende la ricerca scientifica e i suoi risultati temporanei, elementi che ciascuno può verificare, avendone i mezzi e gli strumenti.
Secondo me questo è l’elemento fondamentale della ricerca scientifica: personalmente a me piace perché implica che niente deve essere accettato per l’autorità della persona, delle persone o degli enti da cui viene proclamato, e quindi è un’attività sociale, di un insieme di persone, è un’attività che, almeno teoricamente, può essere verificata da chiunque. In questo senso credo che possa essere capita la controversia tra Galileo e la Chiesa che è andata avanti per vent’anni, ed è cominciata su Copernico prima sul fatto che Galileo fosse copernicano. Lui diceva che il criterio della  verità o della non verità di un’affermazione deve essere costituito dalle “sensate esperienze” e dalle “necessarie dimostrazioni”. Di questo scrisse nella lettera alla Granduchessa Cristina di Lorena.
Secondo me la ricerca scientifica è un racconto del mondo basato sulle esperienze di questo stesso mondo; queste esperienza sono misurate, le può misurare chiunque. Le cose banali che dicono quando uno comincia una facoltà scientifica è che un risultato scientifico deve restare lo stesso, entro gli errori sperimentali, come quelli legati al funzionamento degli strumenti, ai nostri sensi, in qualunque parte della terra ed in qualunque momento. Noi sappiamo che questo è vero e non è vero, che su questo c’è molto dibattito a seconda degli argomenti, dell’oggetto dell’indagine, c’è l’influenza dell’osservatore che è importante in vari modi e forme diverse, è un dibattito molto moderno, insomma, non del tutto galileiano, anche se leggendo un po’ di cose si trovano molti aspetti del dibattito di oggi.
Quanto al legame tra scienza e democrazia io sono convinta che c’è una forma del lavoro scientifico che è forzatamente democratica, se si intende la democrazia come potere del popolo, cioè, sempre più largamente inteso, come lavoro sociale, come un’attività che deve essere socializzata. Ecco, questo è il secondo degli appunti che sull’eredità di Galileo mi sono preparata. Per esempio Galileo è stato il primo a scrivere testi scientifici in volgare, cioè a non scrivere in latino ma in italiano. Non me la sento di dare alcuna spiegazione o interpretazione esaustiva, ma penso che in questo ci fosse l’intento di far conoscere al maggior numero di persone possibile, anche fuori dal circolo delle persone deputate, in particolare i teologi e filosofi aristotelici e filosofi in generale, le sue idee, che nascevano tra l’altro, almeno la parte più nota di esse, quella astronomica, da osservazioni sperimentali , oltre che dalla notevolissima competenza matematica – anche perché i dati sperimentali si interpretano sempre in base al modello che uno ha in mente.
Secondo me c’è un doppio aspetto della democrazia che oggi può essere ripreso, e io lo vorrei riprendere facendo un po’ di “capriole”. Galileo scriveva in volgare. Penso che noi, oggi, dobbiamo divulgare, intendendo con questo che oggi, nella società democratica qual è la nostra, bene o male, è un dovere dello Stato e un diritto e un dovere dei cittadini e delle cittadine avere un’informazione la più corretta possibile ma data in una forma accessibile ai non addetti ai lavori, su una serie di aspetti sui quali, peraltro, i loro rappresentanti in parlamento sono poi chiamati a decidere. Uno può anche dire che quando discutono in  parlamento delle pensioni ognuno di noi elettori ha una sua idea e esperienza delle pensioni; trovo che invece molto meno si sappia degli argomenti che vengono discussi nei campi bioetici.
Per esempio la questione degli embrioni, delle cellule staminali, ma anche degli OGM, e di un sacco di altri aspetti, come fanno male o non fanno male i campi elettromagnetici, l’uranio impoverito, tutte queste cose sulle quali i nostri rappresentanti decidono sapendone mediamente poco anche loro, poiché solo le persone serie si premurano di informarsi. È vero che anche noi addetti ai lavori sappiamo solo le cose del nostro campo di competenza. Mi viene da ridere quando mi chiamano “scienziata”, e io cerco di non diffondere l’uso di questa parola, che nell’accezione di uso comune possiede ancora questo significato di “competente della natura”. Non ci sono più naturalisti, bensì specialisti nei vari campi. Un esempio eclatante: quando qualcuno vince il premio Nobel viene intervistato pressoché su qualsiasi argomento che riguarda il campo scientifico. Per esempio uno prende il Nobel in neurofisiologia e gli chiedono cosa ne pensa dell’effetto serra. Sono convinta che invece anni e anni addietro le persone che si occupavano della natura possedessero la conoscenza globale esistente a quell’epoca. La vastità della conoscenza era molto grande, oggi invece c’è stata una settorializzazione; fino alla seconda metà dell’Ottocento c’erano accademie in cui chi faceva ricerca raccontava quello che faceva a un pubblico di suoi pari […].
Quanto poi al fatto che la scienza abbia quale compito la ricerca della verità, io penso che oggi, a differenza dei tempi di Galileo, siamo più restii a usare la parola verità. Io personalmente non avrei molti dubbi a sostenere che sulla forza di gravità non c’è molto su cui dibattere, a parte provare i gravitoni, che non sono stati ancora trovati. Però l’uso della parola verità dovrebbe essere fatto con parecchia cautela, molte sono le interpretazioni della realtà o di quell’aspetto di cui stiamo discutendo, che sono lo stato di conoscenza cui  si è pervenuti.

Trascrizione dell’intervento registrato a cura di Nuovamente

 

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