Mario Marcuz – L’esigibilità dei diritti da parte dei soggetti immigrati: alcune considerazioni

Nella società “globalizzata” il compito di chi esercita la professione forense ritengo debba assumere un profilo multi dimensionale in relazione all’arrivo di cittadini stranieri e/o appartenenti a paesi extracomunitari. Oltre quella dimensione strettamente processuale che involge il rapporto difensore – assistito in relazione a un processo, esiste un’ulteriore peculiare dimensione che riguarda il rapporto tra difensore e coloro i quali subiscono una restrizione della libertà personale attraverso la detenzione carceraria.

A chi scrive appare, infatti, evidente la novità del ruolo di chi assume la difesa nel processo penale qualora si instauri un rapporto con persone o collettività appartenenti a un contesto linguistico e culturale diverso e lontano, non solo geograficamente. Se nell’aula processuale una funzione mediatrice viene svolta dall’interprete chiamato di volta in volta a fungere da tecnico ausiliatore degli attori del processo (accusa, difesa, giudicante), tale ausilio trova maggiore difficoltà di applicazione nel rapporto tra difensore e assistito all’interno delle mura del carcere. La difficoltà non è solo quelle di tradurre letteralmente le parole dette nella lingua diversa dall’italiano, ma di far pervenire la portata semantica di concetti a chi proviene da culture che di quei concetti non dispongono nemmeno di un termine, di una locuzione che li definisce.

A volte non è nemmeno sufficiente infatti la presenza di un traduttore capace che, pur traducendo fedelmente la lingua italiana, non ha purtroppo spesso quelle conoscenze giuridiche di base per potere, anche con immagini o metafore far comprendere allo straniero ciò che sta accadendo alla sua persona.

Molte volte è capitato che, di fronte alla precisa domanda alla persona straniera detenuta se aveva capito quanto stavo spiegando, questa facesse cenno affermativo, salvo due minuti dopo accorgersi che in effetti si era ancora in alto mare quanto a comprensione. Nel corso di un recente procedimento un cittadino extracomunitario citato come teste, una volta affermata la sua conoscenza della lingua italiana, “confessava”, l’stante successivo, di non conoscere il significato della locuzione rituale «Mi impegno a dire la verità»!

Trovo che a fronte di una sempre maggior sensibilità degli operatori del diritto di fronte a tali problematiche corrisponda una non ancora adeguata presa di coscienza da parte di chi dovrebbe organizzare le strutture e formare le persone operanti in questo ambito. La stessa dimensione di istruzione che i detenuti hanno a disposizione in carcere viene troppo spesso posta a carico di volontari che, con spirito laico o religioso non importa, donano parte del loro tempo a questo fine.

La scuola infatti dovrebbe innanzi tutto mirare a formare una coscienza civile negli individui, uno strumento stabile e generalizzato in grado di sollecitare nel detenuto una presa di coscienza della realtà sociale nella quale è maturata la sua esperienza personale e nella quale ritornerà a vivere terminata la pena.

Trovo singolare che la società italiana sia stata colta impreparata a questi eventi che in altri paesi assumono una dimensione temporale pluridecennale. L’impatto tra la società italiana e il notevole afflusso di immigrati dai cosiddetti terzo e quarto mondo ha prodotto più disorientamento che ricchezza, più emergenzialità che processi di integrazione culturale.

Analisi di studiosi, soprattutto del mondo anglosassone, sulle problematiche accennate risalgono oramai ad alcuni decenni or sono, ma di queste tuttavia a livello istituzionale non se ne è tenuto a debito conto.

Anche questo gap tra realtà e apparati istituzionali sconta la popolazione carceraria con cittadinanza diversa da quella italiana. E’ evidente che la velocità dei processi economico-sociali è superiore a quella di adattamento delle istituzioni chiamate a gestirli e pure a quella degli operatori che ne sono coinvolti, ma ritengo che tale approccio al rallentatore nasconde delle responsabilità colpevoli frutto di scarsa o nulla sensibilità a fenomeni di massa quale è quello dell’immigrazione.

Basti un esempio pratico. Uno dei fattori che spesso determinano la reclusione carceraria è quello tipico dello straniero con difficoltà a provare la disponibilità di un’abitazione: si pensi al fenomeno del mercato sommerso delle locazioni, fiorente soprattutto nelle grandi metropoli italiane a danno dei cittadini stranieri, fascia di debole forza contrattuale.

La mancanza della prova suddetta è troppo spesso condizione ostativa alla concessione di misure alternative alla custodia cautelare in carcere o, in sede di passaggio in giudicato della sentenza di condanna, alla detenzione carceraria.

 

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *