Michel Rocard – Credo in un Europa laica

Traduzione di Carlo Antonio Biscotto

 

Economia e politica sono sempre stati alleati difficili nel processo di unificazione dell’Europa. Sin da quando le industrie europee del carbone e dell’acciaio strinsero una alleanza nel tentativo di impedire future guerre sul continente, il “progetto Europa” è stato spesso alimentato dagli interessi economici. Ora, tuttavia, i nuovi membri per lo più aderiscono alla Ue per ragioni politiche e geo-strategiche. Questo mutamento di motivazioni impone all’Unione di modificare il proprio modo di pensare a se stessa e si tratta di cambiamenti che vanno al di là delle idee che al momento circolano in seno alla convenzione che ha il compito di preparare la costituzione della Ue.

 

Ovviamente la prosperità economica garantita all’unificazione europea attira senza dubbio i nuovi membri, ma la capacità di attrazione della Ue va ben al di là delle questioni di portafoglio. Infatti l’Unione è anche una

vasta area governata dalle leggi, alcune riguardanti la produzione e gli scambi commerciali, altre a tutela dei diritti individuali. Per questa ragione i vicini della Ue si sono sentiti magneticamente attirati verso questa area di pace e prosperità. Il primo allargamento, nel 1973, riguardò la Gran Bretagna, l’Irlanda e la Danimarca e si fondò prevalentemente su considerazioni economiche. Ma tutte le successive fasi di allargamento furono motivate per lo più, se non esclusivamente, da ragioni politiche.

 

La Grecia è un eccellente esempio. Dopo la dittatura dei colonnelli, la Grecia cercò la riabilitazione internazionale attraverso l’adesione alla Comunità Europea, il cui imprimatur a sua volta contribuì a consolidare il nuovo fragile regime democratico. Il processo di modernizzazione attualmente in corso in Grecia deve molto al fatto che il paese è membro della Ue. Più o meno le stesse cose si possono dire per la Spagna e il Portogallo. Respinte quando erano ancora dittature fasciste, le loro candidature furono accettate quando cambiarono i rispettivi regimi. Come nel caso della Grecia, era in ballo il consolidamento democratico. Di fatto dal punto di vista economico l’ingresso in Europa con la relativa necessità di misurarsi con le potenti economie della Germania o della Francia, era rischioso, ma era una condizione necessaria per il bene della democrazia. L’adesione dei tre paesi successivi, Svezia, Finlandia e Austria, pose meno problemi economici. Questi paesi decisero di entrare nella Comunità per lo più per ragioni geo-strategiche: per consolidare la loro sicurezza.

 

La neutralità impedì loro di candidarsi fin quando rimase sulla scena l’Unione Sovietica. Crollata l’Unione Sovietica la loro adesione divenne possibile. Analoga è la motivazione dei candidati che entreranno nel 2004.

Solo Malta è spinta da interessi prevalentemente economici: l’accesso al grande mercato comune. Per Cipro l’adesione è, soprattutto, un mezzo per sbloccare lo stallo tra la comunità turca e quella greca dell’isola. Per

quanto riguarda gli otto paesi recentemente liberati dalla dominazione sovietica, la loro priorità è il consolidamento democratico. I tre paesi baltici e la Slovenia vogliono anche rafforzare la loro identità nazionale recentemente rivitalizzata. Certo la capacità della Ue di stimolare il dinamismo economico, di cui sono un ottimo esempio Irlanda e Grecia, attira nuovi membri. Ma la crisi irachena ha dato ai paesi dell’est

europeo l’opportunità di confermare il ruolo assolutamente prioritario che attribuiscono alla stabilità strategica ed è questa la ragione per cui per loro le relazioni con gli Usa sono più importanti dei timori riguardo alla solidarietà politica europea.

 

Sorge quindi il seguente interrogativo: sebbene sia logico che tutti gli europei desiderano garantire una forte base istituzionale alla pace definitiva e duratura dell’Europa e che pragmaticamente uniamo i nostri mercati, questi imperativi sono insufficienti a fornire forza propulsiva ad una Unione con 25 membri. È necessario un obiettivo condiviso più profondo. Al momento l’Europa ha come obiettivo quei legami politici che, ancora per qualche tempo, sarà impossibile costruire. Le nostre 25 nazioni hanno esperienze storiche, situazioni geografiche e sensibilità strategiche profondamente diverse. Per cui oggi l’obiettivo più ambito “concepire e realizzare una politica estera comune” sembra troppo ambizioso. Ci si può lamentare di questa realtà, ma meglio è adeguarvisi e accettare che ci vorranno decenni prima che l’Europa possa pensarla allo stesso modo sulla maggior parte delle questioni, non ultima quella delle relazioni con gli Usa.

 

Ma questo nulla toglie alla straordinaria comunità costituita dal patrimonio intellettuale e culturale che unisce gli europei intorno a valori riconosciuti e accettati. È qui che l’Europa ha uno scopo intorno al quale stringersi , un messaggio che può echeggiare con forza in un mondo lacerato dall’intolleranza religiosa e dal fanatismo. Molti dei valori dell’Europa il rispetto per la vita umana, il desiderio di proteggere i deboli e gli oppressi, la parità di trattamento per le donne, l’adesione allo Stato di diritto sono emersi nel corso di una lunga storia nella quale molto significativa è stata l’influenza del Cristianesimo. Ma l’Europa ha anche saputo trovare un produttivo punto di equilibrio tra Chiesa e Stato. In Europa la sovranità appartiene al popolo e non viene da un potere trascendente. La libertà di pensiero è assoluta, al pari della libertà di religione. Le donne non subiscono, per qualche ragione religiosa, una condizione di inferiorità rispetto agli uomini. La rappresentanza politica deve essere pluralista. I poteri pubblici non debbono dipendere dall’autorità religiosa né farvi riferimento. Tutti questi valori sono pilastri accettati di stabilità politica e istituzionale dell’odierna Europa e intorno ad essi vi è un consenso pressoché unanime. Sono stati ricavati dalle chiese, non concessi dalle chiese. Questa parte del nostro patrimonio viene dall’Illuminismo e dall’antica battaglia per il trionfo della Ragione. Approfondire questa serie di valori, verificare in quale misura sono condivisi è la condizione necessaria per generare nuovi valori e per garantire all’Unione l’identità e la coesione che un giorno ci consentirà di proporre i valori laici dell’Europa al resto del mondo.

Michel Rocard, ex primo ministro francese, era, al momento della stesura dell’articolo, europarlamentare.  Questo articolo fa parte di una serie di testi realizzati da un gruppo di lavoro indipendente nominato dall’allora Presidente della Commissione Europea Romano Prodi con il compito di individuare le prospettive a lungo termine della cultura nell’Europa allargata.

 

© Project Syndicate/Institute for Human Sci

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