Conversazione con Carlo Augusto Viano

Etica pubblica, etica individuale: alla ricerca di un approccio laico

‘Laico’. La parola nasce all’interno della tradizione cristiana, paradossalmente, e significa «popolare». Fa riferimento al popolo divino, è la rivendicazione dei diritti e poteri religiosi che spettano direttamente al popolo dei credenti. Emerge nel linguaggio delle Chiese cristiane dei primi tempi, e quello che comportava era una forte istanza anticlericale. A partire dai primi anni del Novecento il termine ‘anticlericale’ è un po’ caduto in disuso, e io credo che sia stato un grosso errore, che si sia perso il segno di una tradizione molto importante. Oggi, da quando si è trattato di redigere una Costituzione europea, è venuta l’esigenza di andare alla ricerca delle radici dell’Europa. Ora, non c’è dubbio che anche il cristianesimo faccia parte delle radici dell’Europa, ma se si mette il cristianesimo occorrerebbe anche mettere il movimento di ribellione al clero, nato subito dopo la costituzione del clero stesso.

Le rivendicazioni in nome del popolo di Dio tendono a sostenere che il clero non ha poteri religiosi, ma ha funzioni di servizio, cioè che chi prende decisioni religiose è il popolo di Dio, che si esprime nelle proprie assemblee e con i propri profeti. C’è in tutta la storia religiosa del cristianesimo la contrapposizione tra profeti e preti. Ecco, il popolo ha il diritto di prendere le decisioni, i preti fanno servizio religioso, organizzano cerimonie e la vita della comunità, ma non hanno la sovranità sulla comunità. Quindi nell’etica laica c’è una forte istanza non tanto antireligiosa, quanto piuttosto contraria all’accentramento delle decisioni religiose. Non c’è una sovranità religiosa riconosciuta a qualcuno, ciascun membro del popolo di Dio può rivendicare a sé la propria sovranità religiosa, o può delegare liberamente la propria sovranità religiosa entro gli organi che spontaneamente si costituiscono, designando di volta in volta le persone autorevoli alle quali domandare consigli, prediche, indirizzi. Una parte di queste istanze si è realizzata attraverso la Riforma protestante, e soprattutto attraverso quelle forme della Riforma protestante che non hanno dato luogo a Chiese nazionali organizzate — per esempio molto meno nel luteranesimo e nell’anglicanesimo e molto di più nelle espressioni congregazionaliste e indipendentiste, battiste, quacchere etc. Certo ciascuno deve poter andare in paradiso per la propria strada, le scienze religiose sono materia sulla quale neppure l’autorità politica può porre il proprio controllo. E tuttavia se il sovrano mi dà un’indicazione per la strada per il paradiso e io vado all’inferno, non mi si può più risarcire.

Gli Stati possono esercitare un’autorità solo dove rispondano di quello che fanno, e il terreno suddetto è quello dell’amministrazione dei beni terreni. Questo principio si estende enormemente all’inizio dell’età moderna e coincide con un’altra tesi che ha caratterizzato l’etica laica contemporanea: ciascuno di noi è il migliore amministratore di se stesso. Quando alla fine del Settecento Adam Smith pubblicava l’opera fondamentale che segna la nascita dell’economia moderna [An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations] l’assioma fondamentale era questo: la liberazione dell’etica e della morale individuale da un’etica e da una morale collettiva è quella che segna la nascita dell’etica laica moderna. Ciascuno è libero di organizzare la propria vita come crede, può essere responsabile di fronte ad altri ma non c’è un’autorità che possa indicare i principi sui quali fondare la propria vita. Ci sono altri che possono contestare il modo di condurla, e il compito dello Stato è proprio quello di equilibrare queste diverse pretese. Ovviamente Smith metteva la questione su una base ottimistica, per cui se uno amministra bene se stesso tutto ne esce ben amministrato, ma su questa base nel corso dell’Ottocento sono avvenute importanti trasformazioni.
Io penso che le più importanti siano due: una è la rivoluzione industriale, che ha significato uno sradicamento degli individui dalle proprie case e residenze e la chiusura del capitolo per cui si lavora nel proprio paese, nella propria casa. Si va a lavorare nelle fabbriche in città, si emigra, e questo cambia le condizioni di vita e le consuetudini con le quali le persone regolano la propria esistenza. La rivoluzione industriale cambia le regole matrimoniali, di amministrazione del proprio patrimonio, cambia i comportamenti sessuali. L’altra grande trasformazione avvenuta alla fine dell’Ottocento è quella che oggi chiamiamo liberazione sessuale. La sessualità tende a diventare un campo di esercizio della propria corporeità diversa dall’attività procreativa. Una cosa è scegliere un partner per la procreazione, un’altra per esercitare la propria sessualità in forma di affettività, liberamente. A questo mutamento si accompagna l’emancipazione delle donne. I movimenti religiosi in generale hanno sempre cercato di erigere una barriera contro queste trasformazioni.

Alcune ideologie pubbliche, nate nel corso dell’Ottocento, hanno registrato i conflitti che sorgevano e hanno cercato di risolverli. Per esempio l’ideale del libero commercio mondiale: la società mondiale tenderà a essere più uguale, perché si comporterà allo stesso modo del mercato. Dal lato opposto l’ideologia socialista: lasciamo che la società industriale si sviluppi, e tutti diventeranno uguali perché ci sarà una proletarizzazione crescente; il capitale tenderà a perdere di fronte a essa e la società tenderà allora a stabilizzarsi nell’eguaglianza. Queste, accanto ad altre, sono state le due grandi ideologie che hanno dominato la scena fino alla metà del Novecento, e che in qualche modo hanno realizzato un percorso per rendere accettabili e compatibili a lungo termine le spinte anarchiche che nascevano dalla liberazione indotta dalla rivoluzione industriale. Il cristianesimo ha sempre affermato che la storia procede verso l’edificazione su questa terra del regno dei cieli; in realtà la storia è sempre la stessa, e sembra ripetersi ciclicamente. Molto spesso, con un processo che si chiama di secolarizzazione, le strutture mentali e sociali del Novecento hanno tradotto questo messaggio. Verso la metà del secolo, verso gli anni Sessanta e Settanta, le ideologie liberale e socialista sono entrate in crisi, per una serie complessa di ragioni. Da un lato è entrato in crisi il liberismo degli Stati capitalisti, perché gli indirizzi di politica economica che dovevano assistere le economie interne hanno via via allontanato l’idea di mercato mondiale. Dall’altro lato hanno fallito le ideologie socialiste, un fallimento reso esplicito con la fine della Guerra fredda. Cos’è successo a queste ideologie? Chi, diciamo, ha letto i giornali dagli anni Settanta in poi ha potuto vedere un calo progressivo del fascino delle ideologie e l’aumento dei richiami all’etica. Tutto è diventato una questione morale, si è cercato di tradurre in termini morali quello che le ideologie avevano professato. Se un tempo si diceva «facciamo questo non perché dobbiamo farlo, ma perché ci mettiamo nel senso della storia», successivamente si è detto «facciamo questo perché ce lo comanda l’etica». Quando si tratta di etica pubblica abbiamo dei principi, degli strumenti, delle tecniche ugualmente potenti per richiamare degli obblighi che possano apparire di carattere universale. Questa è una domanda importante, che chi non crede in un’ottica di etica religiosa dovrebbe porsi. Abbiamo gli strumenti per generare teoremi etici. Tentativi non proprio meccanici per elaborare tecniche specifiche ne sono stati fatti molti. Soprattutto sono stati aggiornati recentemente, dagli anni Sessanta del Novecento in poi.

Nessuno di questi strumenti è stato così convincente da imporsi sugli altri. Certamente se noi avessimo una tecnica di questo genere sarebbe facile costruire l’equazione «etica laica = etica razionale», esattamente per la ragione per cui nessuno muove obiezioni al fatto di chiamare ‘razionale’ la meccanica che si studia da venti anni nelle università. C’è un aspetto degli eventi del mondo contemporaneo che è significativo dal punto di vista etico: se leggiamo gli autori che hanno scritto di morale vediamo sempre affermare che quando noi abbiamo dei fini ci adoperiamo per raggiungerli. È uno schema normale, che applichiamo non solo alla morale, ma anche alla risoluzione dei problemi di ordinaria amministrazione. In tutta la tradizione dell’Occidente è prevalsa l’idea che i fini siano più importanti dei mezzi, e che in qualche modo i fini devono controllare i mezzi. È possibile generalizzare questa tesi, cioè che l’etica è costituita da una selezione di fini i quali controllano i mezzi. In realtà forse è avvenuto il contrario nella storia recente dell’umanità: e cioè è stata la disponibilità di beni via via diversi a suggerire invenzioni diverse. La rivoluzione industriale, cui si accennava sopra, quando la città viene messa a disposizione non più, come diceva Smith, di proprietari inurbati, ma degli operai, nella miseria descritta da Lenin, da Engels quando parlano della classe operaia inglese dell’Ottocento, è un esempio di questo modello di rapporti fra condizioni che si vengono oggettivamente a creare e fini stabiliti dagli attori sociale.

Quando questa rivoluzione inurba le donne, quando mette le donne a lavorare, quando nei quartieri cambia la relazione fra uomini e donne, in quel momento nascono nuovi fini. Si inventano nuove regole. Uno dei contributi più importanti per la liberazione delle donne dalla schiavitù domestica è stata l’invenzione delle piccole macchine elettriche, quelle che sono entrate nelle case, che hanno liberato le donne dalla fatica del bucato. A questo livello si pongono i mezzi che hanno sollecitato l’inventività etica. Ma noi possiamo trovare degli aspetti ancora più impressionanti presenti tra noi. Noi sappiamo che la nostra vita è ormai fortemente condizionata dallo sviluppo della medicina contemporanea, soprattutto nella società occidentale. Se noi prendiamo il medico tradizionale, vediamo che collocava il suo compito tra due termini: uno era la nascita e l’altro era la morte. La nascita fino al Settecento era una cosa amministrata soprattutto da donne, donne con donne. Dopo il Settecento comincia l’assistenza medica, un’assistenza che si plasma in un secondo tempo, quando l’assistenza dell’ostetrica non è più sufficiente. Nella medicina contemporanea non solo il medico fa nascere, ma interviene prima della nascita. Il medico è in grado di dirci se il bambino che una donna porta in grembo rischia di avere, o ha sicuramente malattie o malformazioni; anzi può arrivare prima del concepimento, e dire ai coniugi «guardate che voi se generate insieme portate una bomba genetica tremenda, forse vi conviene non farlo e se lo avete fatto forse dovete interrompere la gravidanza». La nascita diventa oggetto di scienza, non più un destino che scende dall’alto. Così la morte. Una volta si moriva in casa e i familiari qualche volta, come si diceva nella letteratura un po’ lacrimevole, accompagnavano onorevolmente alla morte il membro della famiglia — spesso non lo sopportavano più e qualche volta gli accorciavano tranquillamente la vita. Adesso si va negli ospedali, si muore negli ospedali, e contemporaneamente la medicina è in grado di fare due cose: di prolungare molto la vita delle persone, prolungando tuttavia la loro vita da malati, cronicizzando le malattie; in secondo luogo è in grado di fare previsioni attendibili sulla nostra morte. La morte anziché un atto momentaneo, mitologicamente, religiosamente rappresentato come il segno di Dio, è un processo nel quale medici, pazienti, parenti dei pazienti, in qualche modo intervengono. Questi sono due grossi problemi che oggi un’etica può avere. Quale potere dare sulla decisione della nascita di una persona, quale potere dare sulla decisione della sua morte, o sulla gestione della sua salute. Sappiamo tutti come sia difficile legiferare sull’uso del tabacco, sull’uso delle droghe. Qui probabilmente l’etica laica non dispone di principi ferrei, di tecniche mentali con le quali dedurre norme, obblighi e divieti. Però deve tutelare e in qualche modo promuovere l’inventività etica, cioè inventarsi argomentazioni, rivelazioni di diritti, oppure obiezioni. Queste molto spesso non mettono in moto i grandi principi, che non di rado non generano conclusioni plausibili, ma permettono di fare congetture, di dire «se operiamo così vediamo quali sono le conseguenze, quanto accettabili, quanto non accettabili». E soprattutto l’etica laica è quella che promuove la coesistenza tra individui che su tali questioni la pensano in maniera diversa, e si costituiscono dentro le grandi società multinazionali, soprannazionali, gruppi di convivenza che possono coesistere con altri gruppi, criticandosi liberamente. Questa è la cosa importante: criticarsi, argomentare quello che riteniamo non vada bene. Però altro è criticare e altro è proibire.
Ecco, un basso tasso di proibizione, forse questo è uno degli aspetti che l’etica laica può in qualche modo raccomandare.

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Io tendo un po’ a guardarmi dai concetti di nulla e di infinito, soprattutto perché esiste una disciplina che ci ha insegnato a guardare dentro questi concetti, a capire che c’è un errore, e questa disciplina è la matematica. Tuttavia estendere i princìpi della matematica agli altri domini è sempre molto difficile e problematico. Talvolta i concetti di nulla e di infinito rispondono in realtà a metafore. Tra il nulla e il vuoto si instaura una identificazione metaforica. Spesso il concetto di nulla è usato per produrre diagnosi delle situazioni della nostra civiltà o dell’andamento della nostra storia, o cose di questo genere. Talvolta si dice che molte persone sono spinte dal nulla, dal vuoto o dalla noia per esempio. Ecco, tutte queste ulteriori teorie che nel corso della nostra letteratura etica sono state ampiamente trattate, spesso sono legate alla condanna della tecnologia. Spesso hanno il presupposto di idealizzazione di altre epoche che non sono certo migliori della nostra… La noia il vuoto il nulla erano forme del male. Il vuoto, lo schiavo che lavorava nella miniera greca non aveva nulla da paragonare alla propria condizione, che era incommensurabilmente peggiore della relazione con la noia e il vuoto di un giovane nel quartiere periferico di una città industriale. Quindi queste sono le cause che indicano i problemi. C’è una cosa però che io credo l’etica laica debba considerare: e cioè il fatto che l’etica laica è l’etica di una società non cristiana, un’etica di una società nella quale ci sono il fumo, l’alcol, le droghe, la prostituzione; sono queste le cose su cui dobbiamo riflettere, così come sulla sofferenza, sulle malattie irreversibili, e sulla mancanza di consolazione per queste malattie. Sapremo probabilmente prevedere ciò di cui moriremo e sapremo anche che cosa fare. Queste sono le situazioni reali con le quali bisogna fare i conti. Molto spesso le nostre etiche, quelle che abbiamo acquisito dalla tradizione, sono etiche della società.

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Le situazioni che coinvolgono l’etica pubblica non nascono necessariamente dall’interiorità dell’uomo, ma da situazioni altre, più complesse; non basta dire «adesso questo è il nuovo giusto», bisogna inventare delle argomentazioni che facciano appello a qualcosa che disturbi qualcuno. Io ho due tesi. Un modello di migliore adattamento di  mezzi, un modello di distribuzione di ricchezza, per cui il capitalista ci mette i soldi e ci guadagna, gli operai vanno a lavorare e hanno una retribuzione sicura, e anche questa si distribuisce sul territorio.
Alla metà del Novecento cominciano a nascere precise istanze etiche, l’etica degli affari nasce in nome della massimizzazione economica: tu hai il diritto di servire qualsiasi cliente? Hai il diritto di comprare i prodotti semilavorati da qualsiasi offerente? Da un punto di vista economico sì. La tua regola di buona conduzione dell’impresa non è la stessa che si applica nelle industrie che stanno a monte. I tuoi clienti per esempio sono in un paese che non applica i diritti civili. L’impresa cosa fa?  Tenta prima di tutto di non tenerne conto, ma intorno nasce un certo numero di persone che cominciano a riflettere su queste domande. Cosa deve fare quindi l’impresa? Provare se esiste una modificazione della sua condotta che renda conto di queste problematiche, non per bontà, ma perché quelli sono i suoi clienti, i sottoscrittori delle sue azioni. Una cosa di questo genere è accaduta in una trasformazione ambientalista. Si è cominciato a dire: è brutto che l’industria distrugga la natura, quanto era bella la città preindustriale. Sono cominciate ricerche che hanno messo in luce come alcune di queste rivendicazioni si fondavano su processi fisici precisi. Utili o non utili non è questo l’importante, ciò che conta è che da queste campagne si è scoperto per esempio che il fumo fa male. Non è più un fatto statistico, ma sappiamo quali sono le reazioni chimiche per cui il fumo fa male. Si è scoperto il buco dell’ozono… Uno poteva anche dire «ma non lo vediamo», ai presenti potrebbe anche non interessare, passeranno moltissimi anni prima che si manifesti il tumore alla pelle. Invece no, dobbiamo pensare al futuro, questo è il mondo delle ricerche di connessione. È stato dato il premio Nobel al chimico che ha scoperto le reazioni chimiche con cui il fluoro distrugge l’ozono. Teniamo conto di quanto ha contato nella scoperta della biochimica che precede il concepimento dei bambini il problema della liberazione della donna. Questo mix di spunti innesca argomenti che coinvolgono anche quelli che non credono. Quanti i nodi all’inizio delle grandi campagne ambientaliste: magari eravamo scettici, io stesso potrei alzare le spalle di fronte ad alcune rivendicazioni ambientaliste, non tutte naturalmente, ma si comincia ad andare avanti con argomentazioni pro e contro. In questo noi non vogliamo che il papa metta becco, nel senso che dica anche lui la sua, ma non è lui che decide alla fine. Lui può anche dire «non praticate l’eutanasia», «non preoccupatevi della salute dei nascituri perché se ne occupa Dio», ma questo non deve bloccare la possibilità di continuare a dire e a discutere con gli altri sull’opportunità di pensare alla salute dei nascituri e di prendere decisioni sulle cose nostre.

Trascrizione dell’intervento registrato a cura di Nuovamente

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