Intervista a Giuseppina Gualtieri

Etica e Impresa

 

Bertod Brecht scrisse che “il vero ladro non è chi rapina una banca, ma chi la fonda”. I casi Enron e Cirio, tanto per fare duo esempi recenti, non rischiano di rendere di nuovo attuale questa provocazione?

Si tratta comunque di una provocazione: il problema di fondo che pongono questi due casi (tra loro anche piuttosto differenti) non risiede tanto nella natura di ciò che si fa, ma nella correttezza dei comportamenti concreti. Non nel cosa, ma nel come:come si svolge l’attività economica e a quali regole ci si ispira. Bisogna ricordare che l’attenzione al tema dell’etica nasce dalla situazione internazionale, con l’espansione dell’economia finanziaria, ed ella mutata sensibilità dell’opinione pubblica. I nuovi comportamenti di consumo sono riusciti a condizionare in alcuni casi le scelte di multinazionali come la Nike, la Levi’s, o la Del Monte, imponendo per esempio che si smettesse di utilizzare manodopera infantile  delle fabbriche. Perchè, quando si parla di etica od economia, non si affronta solo un problema di finanza, come la responsabilità e la correttezza nei confronti degli investitori. E naturalmente si va anche aldi là dell’indispensabile rispetto della legalità, che in alcuni casi o stata infranta.

 

Quale deve essere la “bussola” di questa sensibilità etica?

Il punto centrale di un comportamento etico in economia non deve risiedere solo nella  oralità individuale, ma va legato all’imperativo della responsabilità: per questo si parla sempre più di responsabilità sociale delle imprese.

 

In cosa consiste?

Il comportamento di un’impresa, in tutti i rami della sua attività, deve mantenere degli standard di correttezza nei confronti di tutti i propri interlocutori, quelli che in inglese si chiamano stakeholders: gli azionisti, i lavoratori, i fornitori, i clienti, le comunità investite direttamente dalle sue scelte, ecc. Il comportamento nei confronti di tutti questi soggetti definisce l’effettiva  responsabilità sociale di un’impresa, che deve soddisfare questi requisiti (per esempio l’assenza di lavoro minorile) in tutta la catena delle sue attività, sia  locali che internazionali. Ricordiamo che questo tema, molto delicato, ha richiamato grande attenzione in Italia perché l’Unione Europea, con l’accordo di tutti i governi, ha dichiarato che la responsabilità sociale deve rappresentare un punto fondante per lo sviluppo sostenibile.

 

Ma chi controlla e certifica che un’impresa sia eticamente responsabile?

Oggi si dibatte sugli strumenti e le modalità da adottare. Io sono convinta che quella abbozzata dall’Unkine Europea sia la strada giusta da seguire: mettere a punto un percorso graduale e incentivato. Comunque, si è alla ricerca di strumenti condivisi: codici di condotta, bilanci sociali, forme di certificazione etica, ma ancora non si è fatta chiarezza. Occorrerà mettere a punto un sistema comune a livello europeo.

 

E questi comportamenti eticamente responsabili potranno essere estesi a tutto il Wto (Organizzazione mondiale del commercio)?

Si, anche se si tratta di un percorso non facile ne definito. Oggi il rischio maggiore è che questi tomi rimangano una moda passeggera, o vengano strumentalizzati per farne solo uno strumento di marketing.

 

I movimenti new-global possono aiutare in questo senso?

Certo, a livello di opinione pubblica, per esempio continuando a modificare gli standard di consumo. Inoltre varie Ong, come ad esempio Amnesty International, stanno dando un importante contributo. E comunque bisogna mantenere una grande vigilanza per evitare semplificazioni e strumentalizzazioni. Tra l’altro, bisognerà guardare alle scelte del nostro Governo per evitare che, per quanto utile, l’attenzione al sociale, l’attività “filantropica” di un’azienda, venga confusa con la responsabilità sociale, che coinvolge una sfora molto più vasta di comportamenti e di scelte.

Add a Comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *