Romina Cauteruccio – Carcere e Controllo Sociale
|La discussione che ci impegna sul tema dell’istituzione carceraria non può prescindere da una serie di dati relativi al più generale quadro della realtà carceraria. I dati ci dimostrano un aumento rilevante , e nella regione Emilia Romagna la situazione è ancora più allarmante. La popolazione detenuta è oggi segnata, in realtà, da fenomeni nuovi, legati ai flussi migratori, alla crisi della legalità, alla mancanza di politiche di sostegno delle persone private a vario titolo della libertà.La fenomenologia di tali fattori è così variegata che a volercisi raccapezzare occorre riconoscere con molta modestia l’impossibilità di avanzare equazioni.
Una buona legislazione può essere già un valido punto di partenza, accantonando le tendenze recenti delle “leggi di occasione”. Mi limito a citare i “pacchetti sicurezza” varati dalla legislatura precedente che in termini di controllo sociale hanno l’effetto di subordinare la tutela della persona alla tutela del patrimonio.
L’ipertrofia della legislazione è ormai priva di razionalità e di coerenza ed è portatrice di un disordine normativo che rende ancora più difficile l’efficienza della giurisdizione. Il pensiero del legislatore e del giurista deve essere votato al perseguimento di un disegno di razionalizzazione in senso garantista dell’area del penalmente illecito. Si badi che non è una questione di diritto penale minimo, poiché i vuoti che si vanno a invocare sono poi inevitabilmente recuperati dai circuiti di controllo extrapenali. Da qui la crisi di tutti i classici principi garantistici e di legittimazione: il principio di tassatività e con esso la certezza della pena, e il nesso tra pena e reato, il principio di offensività e quello di proporzionalità della pena. Occorre rivalutare il processo penale come sede di accertamento e verifica dei fatti commessi, ruolo questo invaso gradualmente da una funzione di penalizzazione preventiva, carica di pretese pedagogiche. A mettere in crisi il modello tradizionale di carcere sono, dunque, i processi economici, sociali e culturali che si sono realizzati intorno alla metà degli anni Novanta.
Sotto questo profilo, va segnalata l’esigenza di riportare la pena in un piano ideale e di principio, su base umanitaria e garantista, derivante in parte dall’influsso del pensiero illuminista francese. L’eccessiva implementazione nelle politiche sociali delle istanze di sicurezza ha spinto a investire in termini di risorse fuori dalle mura carcerarie. In tal modo, è stata reinventata una nuova istituzione immateriale, più economica ma non meno alienante e totalizzante: un “controllo sociale” che si può definire diretto. Sul piano empirico, però, si registra un aumento dei tassi di carcerizzazione generalizzato. Mentre i settori più significativi del fenomeno sicurezza, ovvero attività di assistenza e organizzazione dei servizi sociali, tendono sempre più a confluire verso uno spazio di competizione per il controllo e la distribuzione di risorse. I dati, quindi, non sono confortanti, le strutture edilizie e i servizi non garantiscono la dignità dell’individuo ristretto.
In tal senso occorre rammentare che il grado di civiltà e di democrazia di una società si misura anche dall’architettura delle sue carceri.